28 maggio: Giornata mondiale del Gioco

Il 28 maggio – in tutto il mondo – si celebra il Gioco.
La proposta per questa ricorrenza venne avanzata da Freda Kim, presidente dell’Associazione internazionale delle ludoteche nel 1998, e poi accettata dalle Nazioni Unite, che ne hanno fissato la data in questo giorno.
COSA VUOL DIRE GIOCARE
Per parlare di gioco non possiamo fare a meno di tenere in considerazione il concetto di “Homo Ludens”, una tipologia di soggetto proposta in antitesi all’Homo Faber, descritto da Johan Huizinga nell’omonimo saggio. Lo storico e linguista olandese considerava il gioco come il fondamento della cultura e dell’organizzazione sociale.
“la civiltà umana si sviluppa e sorge nel gioco, come gioco”
Per Huizinga i giochi possono essere divisi in due grandi famiglie: quella della competizione, in cui si gioca per ottenere qualcosa; e quella della rappresentazione, in cui invece il gioco è finalizzato appunto a rappresentare qualcosa.
Quel che è certo, indipendentemente dalle categorie di gioco, è che l’uomo non ne può fare a meno: il gioco è un bisogno che non può essere negato.
Ma quali sono le sue funzioni? Quali sono i bisogni a cui risponde?
Imitazione, rilassamento, preparazione al lavoro, allenamento all’autocontrollo, percezione di essere capace in qualcosa, ansia di dominare e concorrere, appagamento di desideri irrealizzabili, liberazione da istinti nocivi. Sono solo alcune delle possibili finalità che possiamo attribuire alle attività ludiche alle quali ci dedichiamo nel corso della nostra vita.
CHE FUNZIONE HA IL GIOCO NELLO SVILUPPO
Il gioco viene generalmente inteso come attività ricreativa e piacevole, ma non vanno trascurate le numerose competenze che proprio attraverso di esso vengono acquisite e potenziate, soprattutto nei primi anni di vita.
La prospettiva etologica per prima ha evidenziato la funzione di apprendimento osservata nel gioco praticato dai cuccioli di animale. Questi, simulando scene di vita quotidiana in un contesto protetto, riescono a costruire l’immagine mentale degli eventi che potrebbero accadere nella realtà e a sviluppare, di conseguenza, degli adeguati strumenti per reagirvi, che si tratti di pericoli o attività sociali e affettive. Questa stessa funzione di apprendimento la ritroviamo anche nei primi giochi dei bambini, che grazie all’attività ludica sperimentano numerose attività evolutive.
L’aspetto didattico del gioco è stato sviluppato in particolare nella teoria costruttivista di Jean Piaget.
Psicologo, biologo, pedagogista e filosofo, Piaget evidenziava la funzione del gioco come palestra di sviluppo: un’attività utile per esercitare attivamente, e in interazione con l’ambiente, le abilità del singolo in funzione del suo livello di sviluppo neurobiologico e cognitivo.
Inizialmente il gioco consiste più che altro nella ripetizioni circolare di attività considerate piacevoli a livello sensoriale. Solo dai 2 e fino ai 7 si passa ad un tipo di gioco più concreto, che si manifesta con l’esplorazione ambientale, la manipolazione di oggetti e la conoscenza degli stessi tramite il contatto diretto. A partire dai 18 mesi, inoltre, il bambino comincia a maturare una funzionalità di pensiero simbolica. Possiede cioè la capacità di immaginare esistenti anche oggetti che spariscono da suo campo visivo, e acquisisce la capacità di riprodurre comportamenti che ha visto effettuare in precedenza tenendoli a mente.
Dai 2 anni si sviluppa anche la possibilità di sperimentare giochi di gruppo, in cui vengono stabilite regole e ruoli. Più avanti, intorno ai 3-4 anni, e poi a 5, il gioco assume graduali connotazioni collaborative di gruppo.
Il gioco, giunti a questo punto dello sviluppo, ha anche una centrale ed essenziale funzione emotiva.
Per Fonagy, l’immaginazione che si sviluppa a partire dai 4 anni di vita rappresenta l’esito dello sviluppo della mentalizzazione: la capacità di attribuire stati mentali alle azioni altrui, e di immaginare che le stesse possano essere compiute con finalità emotive, rappresentandosi gli stati emotivi propri e altrui.
In questo breve excursus sullo sviluppo del gioco nell’infanzia, trovo doveroso dedicare qualche riga anche all’annosa questione di genere che da sempre compare quando si parla di giochi: l’idea che ci sia una predisposizione verso un certo tipo di giochi e/o attività ludiche da parte di maschi e femmine.
Una differenza puramente culturale e streotipata, secondo la quale i giochi adatti alle bambine sono quelli in cui viene proposto per esempio l’accudimento di bambole o la cura della casa, mentre quelli giusti per i maschi sarebbero quelli in cui predomina la componente aggressiva o il ricorso a elementi come macchine, scienza e simili.
“La vita di oggi avrebbe bisogno di un’educazione “arcobaleno”, che permetta cioè di sperimentare giochi che sono tradizionalmente legati al proprio o all’altro sesso. Un bambino che cucina o che riordina una casa di bambola non dovrebbe scandalizzare più nessuno, anche perché probabilmente da grande quel bambino dovrà condividere con un/una partner i compiti necessari alla vita quotidiana. E una bambina deve essere libera di poter scegliere anche giochi e attività sportive che, per tradizione, vengono considerati “maschili”, senza per questo essere definita un “maschiaccio”. Lev Trockij è diventato un rivoluzionario anche giocando con le bambole, Wolfang Goethe è diventato poeta e drammaturgo anche se da piccolo utilizzava delle pentoline per far finta di preparare le pappe per un immaginario neonato.”
https://www.uppa.it/educazione/pedagogia/giochi-da-maschi-giochi-da-femmine/
QUALE FUNZIONE HA IL GIOCO NELLA VITA DEGLI ADULTI
Se, come abbiamo visto finora, grazie al gioco si apprende e si cresce, allora perché sembra avere così poca rilevanza nella vita adulta?
Crescendo infatti sembriamo dimenticare, chi più chi meno, quella parte bambina che invece resta viva ed entusiasta per tutto il resto della nostra esistenza. Mantenere quella parte attiva e continuare a goderne, anche se in misura più contenuta rispetto all’infanzia, è una fonte inesauribile di energia, desiderio, scoperta.
Continuare a giocare ci permette di riprendere fiato, di confrontarci lealmente con gli altri, di collaborare e di esplorare il mondo, gli altri e noi stessi. Coltivare la capacità di divertirsi, di essere leggeri, di staccare e coltivare le relazioni significative.
Il tempo dedicato al gioco non è tempo perso, ma energia e vivacità conquistata.
“Non si smette di giocare perché si invecchia, ma si invecchia quando si smette di giocare.”
G.B. Shaw